Si è svolto a Napoli sabato scorso il convegno “SudÉuropa”, organizzato dal GUE-NGL col supporto del PRC nel contesto di una serie di iniziative intitolata “Carovana del Sud”.
L’attualizzazione della questione meridionale in Italia e in Europa rappresenta il fondamento politico della “Carovana del Sud” e proprio questo tema ha segnato l’apertura del convegno. Dal Portogallo alla Grecia, passando per il Meridione d’Italia, si ritrovano problematiche economiche, sociali e politiche simili. Lo scenario di fondo è quello di un’Unione Europea imperniata sull’interesse dell’economia produttiva tedesca e della finanza internazionale. In queste terre storicamente poco industrializzate, le politiche monetarie dell’Unione Europea, l’azzeramento degli investimenti statali, la carenza di politiche industriali e la sfrenata concorrenza giuocata dai paesi emergenti sul costo del lavoro hanno portato all’esaurimento le residuali aree produttive del Sud. Sebbene le attuali politiche europee non manchino di colpire coi propri effetti negativi la Francia e il Nord del nostro paese, è nei Meridioni d’Europa che si osservano le maggiori criticità, in termini di povertà e disoccupazione. L’ideologia europeista ha rilanciato in una prospettiva internazionale il mito del Nord produttivo e del Sud sfaticato, che vive sopra le proprie possibilità, sulle spalle degli altri che producono. Con questa grande mistificazione si sono giustificati i ricatti delle politiche di austerità, con cui in ultima istanza si sono perpetrate le dinamiche economiche che hanno causato l’attuale situazione e che per giunta ne aggravano sempre più l’impatto sociale, mediante la progressiva abolizione delle tutele e del cosiddetto welfare.
Il Sud Europa è dunque unito da obiettivi strategici comuni, mirati al rilancio dell’economia nazionale: la redistribuzione della ricchezza finalizzata al rilancio dei consumi interni; la tutela delle microeconomie locali, che, soprattutto grazie al settore agro-alimentare e turistico, in questi anni hanno mantenuto viva l’economia reale dei nostri territori anche nelle aree più “provinciali” e periferiche; il rilancio della produzione industriale attraverso investimenti statali.
Esiste nell’interesse economico dei paesi del Sud un elemento di trasversalità rispetto alle classi sociali, il quale coinvolge non solo i piccoli e medi imprenditori, ma anche la borghesia intellettuale, avvilita dagli scarsi investimenti su ricerca e sviluppo e da condizioni di lavoro sempre più simili a quelle del lavoro non qualificato. E’ dunque ragionevole che proposte politiche volti a tali obiettivi si ritrovino con la stessa trasversalità nel panorama politico, e non siano appannaggio della sinistra. Si veda in Grecia il successo di Alba Dorata e in Italia i vari tentativi di riorganizzazione delle destre, dall’esperienza dei Forconi al progressivo scollamento della Lega Nord dalla propria originaria vocazione regionalistica.
Due questioni sono imprescindibili per agganciare gli interessi della borghesia nazionale dei paesi del Sud Europa a una prospettiva genuinamente antiliberista, anticapitalista e popolare.
Un elemento d’analisi è rappresentato dal fatto che la stessa classe lavoratrice mitteleuropea sia vittima delle politiche di austerità e schiacciata da una forbice della ricchezza sempre più divaricata. Mentre i capitalisti tedeschi si arricchiscono su una bilancia commerciale che propende per le esportazioni, sul versante interno esiste un orientamento al contenimento della spesa e del costo del lavoro, che pone sotto minaccia il benessere delle classi lavoratrici.
Un altro dato da non trascurare è la riattivazione dei flussi migratori. E se le giovani generazioni del Sud Italia, soprattutto i laureati, tendono ancora a spostarsi verso il Nord, da tutta la penisola, sia i figli della borghesia intellettuale che i figli delle classi meno emancipate, tendono a cercare un futuro all’estero. La classe lavoratrice è ormai europea, non solo perché soggiace al mercato comune e alle regole comuni dell’Unione, ma anche per una consistente ripresa del fenomeno migratorio. Diviene quindi necessario dotare i lavoratori europei di strumenti comuni di lotta contro il capitale.
Sull’altro versante, occorre constatare come “lo spazio europeo” in cui si deve muovere la lotta delle classi subalterne del nostro continente non può più essere quello dell’Unione Europea e dei trattati che costituiscono lo scheletro delle sue politiche liberiste. Questo spazio è inagibile politicamente, antidemocratico e perciò irriformabile. Non esiste attualmente una via istituzionale democratica per gli interessi di classe sul piano europeo. La democrazia sopravvive in Europa solo grazie alle Costituzioni degli stati nazionali, che ci apprestiamo in Italia a difendere attraverso la battaglia referendaria contro la riforma Boschi dell’assetto istituzionale. Le singole prospettive nazionali, che potrebbero di per sè vedere coalizzati i popoli del Sud Europa nella lotta contro le istituzioni europee, non sono tuttavia in conflitto con l’idea di consolidare una rete europea delle lotte dei popoli. Coniugare queste due concezioni dell’attuale scenario politico ed economico è fondamentale per preservare il sogno di un’Europa unita dai valori del socialismo e della democrazia.
E’ un dato di fatto però che anche le istituzioni democratiche nazionali sono già state svuotare di potere, ceduto agli organismi nazionali, e di agibilità democratica. Diviene dunque difficile, come dimostra l’esperienza greca, pensare di combattere lo strapotere dell’Unione Europea e dei comitati d’interesse della grande finanza, con la voce isolata dei parlamenti dei nostri paesi. Occorre rilanciare la prospettiva di una lotta di popolo e di un’opposizione sociale che parta dai paesi più vessati e si estenda alle classi lavoratrici dell’Europa del Nord. Da dove partire dunque? Di quali strumenti dotarsi? La ristrutturazione dell’economia produttiva e i processi di deindustrializzazione hanno in parte reso inadatti gli strumenti classici. La balcanizzazione del mercato del lavoro ha deprivato i lavoratori del peso contrattuale acquisito in anni di lotte. In Italia pesa inoltre l’abbandono da parte della gran parte della compagine sindacale del proprio ruolo politico e delle prospettive conflittuali. Nello scenario europeo si sono sviluppate due esperienze, a Napoli e Barcellona, che rilanciano un modello che ha già funzionato in Sudamerica: quello dell’organizzazione municipale delle lotte e dei popoli urbani. I quartieri delle città raccolgono il disagio sociale che origina nella precarietà di lavori sempre più saltuari, parcellizzati e distribuiti e dove si esprimono concretamente i bisogni sociali di questo disagio. Il tema che dobbiamo porre all’ordine del giorno è quello di ridistribuire potere e ricchezza, secondo ogni varia declinazione, dal piano sovranazionale al luogo di lavoro, passando per le istituzioni nazionali e locali. Se l’attuale assetto produttivo e i rapporti di forza vigenti rendono difficile radicare questa proposta nel mondo della produzione (necessità che comunque in futuro risulterà imprescindibile per proporre un vero avanzamento sociale), i territori, le città e le province rappresentano il luogo ideale per riproporre questi temi. Lì spontaneamente si creano e si possono attivamente costruire comunità e relazioni, da coniugare in esperienze di solidarietà sociale e organizzazione del dissenso. Abbiamo avuto recenti esempi di come il conflitto sociale possa riorganizzarsi anche in un’ottica nazionale, superando le forme classiche del conflitto. Le lotte del sindacato francese hanno saputo far perno sui punti nevralgici del sistema produttivo e commerciale francese: bloccando il settore dell’energia e della logistica, si è nei fatti riusciti a bloccare un intero paese, con un danno reale agli interessi del padronato che da tempo gli scioperi generali non riuscivano più a infliggere. Ciò che è mancato all’esperienza francese è stata una sponda politica forte, proprio per via dell’indebolimento delle istituzioni democratiche e delle rappresentanze popolari in quei contesti. Le esperienze di Napoli e Barcellona testimoniano come le Istituzioni locali, restituite a un controllo politico popolare, possano da un lato tornare a esercitare una funzione sociale e non più meramente contabile, dall’altro frenare la realizzazione di politiche centrali neoliberiste, quali la svendita del patrimonio pubblico o la privatizzazione dei servizi. Purtroppo è ovvio che la sponda politica non può nulla se esiste unicamente a livello territoriale. Gli esempi in campo di queste lotte a carattere municipale sono oggi l’eccezione e rappresentano dunque un eventuale modello da mutuare in varie realtà, più che una rete di esperienze esistenti da correlare.
In termini di prospettiva, l’esperienza venezuelana dimostra comunque che l’organizzazione municipale del conflitto può offrire i suoi luoghi, le sue esperienze e le sue strutture come ossatura di un apparato istituzionale a democrazia diretta.
La questione meridionale italiana ed europea, la prospettiva municipalista, la difesa delle costituzioni nazionali, la lotta al neoliberismo. Il convegno di Napoli ha fornito numerosi piani di lettura, che, pur non essendo stati ridotti a sintesi, rappresentano una buona rappresentazione delle diverse contraddizioni della società del tempo presente, da tenere presente nella definizione dei nostri futuri progetti politici. La delegazione dei Giovani Comunisti di Monza e Brianza portata a casa dunque un dato politico forte: il GUE-NGL e il PRC si apprestano a superare una fase di inadeguatezza dell’analisi politica e di passività di fronte alle vicende della politica nazionale ed europea. Siamo pronti a riaprire un dibattito genuino per rilanciare il cambiamento di questa società.